L’itinerario inizia da Gallipoli (dal greco Kalè polis, cioè città bella) che si presenta col suo aspetto orientale, tutta bianca, simile a un paese delle isole Cicladi. La città si protende nel mare attraverso, un promontorio e un’isoletta congiunti da un ponte.E nota per l’olio, il vino e il pesce e negli ultimi anni si è andata sempre più affermando come centro di villeggiatura. La Cattedrale, posta in una minuscola piazzetta, a mala pena l’occhio riesce a inquadrarla nel suo insieme e a leggere le fantasiose sculture sull’insolito carparo brunato, ugualmente versatile quanto la pietra leccese. Consacrata a S. Giovanni Crisostomo, fin dal 1126 è dedicata a Sant’Agata, vergine catanese. È il classico esempio di barocco salentino con la facciata riccamente animata da statue e da decorazioni varie. Nella zona adiacente alla Cattedrale, il Seminario e la Chiesa di S. Teresa con l’attiguo Convento delle Carmelitane Scalze, dai pregevoli altari. A Gallipoli sarebbe meglio giungere dal mare, ovviamente su una barca, sospinti da una leggera tramontana che fa avvicinare alla costa, al ritmo di una lenta, tranquilla remata. A mano a mano che la visibilità consente di distinguere i contorni delle mura e delle abitazioni, ci si accorge che le chiese, con i loro colori vivaci e i campanili, costituivano e costituiscono tuttora dei chiari punti di riferimento per i pescatori. Tale è la Chiesa della Purità, sede della congregazione degli scaricatori del porto, col trittico maiolicato sulla facciata, raffigurante la Vergine col Bambino e ai due lati S. Giuseppe e San Francesco d’Assisi. Così anche la Chiesa di S. Domenico o del Rosario quella dedicata alla Madonna degli Angeli (1606); quella del Crocefisso (1741) edificata dai « bottai » e quella di S. Francesco d’Assisi o del Malladrone, di origine duecentesca, ma ripetutamente rimaneggiata. La Chiesa del Canneto. È la chiesa dei pescatori che accoglie le loro preghiere prima di uscire a pescare e le loro imprecazioni quando, all’ombra del suo porticato, commentano le lunghe, faticose giornate trascorse in balia del mare. La costruzione si fa risalire al XII secolo, rimaneggiata diverse volte, non ultime nel ‘500 e nel ‘600.
Al centro di un’ampia superficie marina si trova l’Isola di S. Andrea (Risula per i gallipolini), situata a ovest di Gallipoli, in un tratto di mare interessato tra la biocenosi del Coralligeno e la prateria a Posidonia.
L’isola appare desolata, bruciata dalla salsedine, dal sole e dai venti, con i segni dell’uomo che in tempi non tanto recenti l’ha utilizzata come avamposto militare.
La Cattedrale consacrata a S. Giovanni Crisostomo, fin dal 1126 è dedicata a Sant’Agata, vergine catanese. È il classico esempio di barocco salentino con la facciata riccamente animata da statue e da decorazioni varie. Nella Pinacoteca della Cattedrale buoni lavori pittorici di artisti salentini del ‘600 – ‘700. La biblioteca civica è dotata di circa tredicimila volumi, di 32 incunaboli, di preziosi manoscritti e di edizioni cinquecentesche. Nella zona adiacente alla Cattedrale, il Seminario e la Chiesa di S. Teresa con l’attiguo Convento delle Carmelitane Scalze, dai pregevoli altari. Giungendo a Gallipoli dal mare ci si accorge che le chiese, con i loro colori vivaci e i campanili, costituivano e costituiscono tuttora dei chiari punti di riferimento per i pescatori. Tale è la Chiesa della Purità, sede della congregazione degli scaricatori del porto, col trittico maiolicato sulla facciata, raffigurante la Vergine col Bambino e ai due lati S. Giuseppe e San Francesco d’Assisi, e il pavimento maiolicato con un fastoso interno abbellito da quattro grandi tele di Liborio Riccio. Così anche la Chiesa di S. Domenico o del Rosario quella dedicata alla Madonna degli Angeli (1606); quella del Crocefisso (1741) edificata dai « bottai » e quella di S. Francesco d’Assisi o del Malladrone, di origine duecentesca, notevole per la facciata, le sculture lignee ed un affresco cinquecentesco di scuola veneta. Bello il pavimento maiolicato della chiesa della Purità con un fastoso interno abbellito da quattro grandi tele di Liborio Riccio La Chiesa del Canneto, la cui costruzione risale al XII secolo viene considerata come la chiesa dei pescatori.
La Fontana greco-romana è considerata la più antica fontana monumentale d’Italia. Posta come trait-d’union tra l’isola e il Borgo nuovo, è l’unica fonte che, per secoli e fino a non pochi decenni fa, ha dissetato la popolazione gallipolina. La sua costruzione è fatta risalire al periodo di transizione tra la dominazione greca e quella romana. Nella seconda metà del ‘500 fu smontata e ricomposta dov’è attualmente, nella zona cosiddetta « del Canneto ». Date le frequenti incursioni subite in passato, Gallipoli non poteva non presentare una struttura difensiva come il Castello, a guardia del mare e a difesa della città. Ripetutamente rimaneggiato nel corso dei secoli, conserva l’originaria pianta quadrilatera alla quale sono stati aggiunti successivi corpi di fabbrica. Soprattutto durante la stagione estiva, il Castello riacquista un’eminente funzione culturale con l’allestimento di mostre pittoriche e artigianali, spettacoli culturali. Le sue mura possenti, le torri, le caditoie rimandano a un periodo di violenze bellicose, ma anche a un luogo in cui si svolsero fastosi ricevimenti e feste, in particolare nel periodo spagnolo. Certamente non passano inosservati alcuni palazzi civili, davvero pregevoli architettonicamente, per lo più barocchi con reminiscenze rinascimentali. In uno di questi trova posto il Museo Civico: piccolo, ma straordinariamente interessante. La cinta muraria, munita di dodici capisaldi, fra torri e bastioni, circonda ancora l’intera isola con un percorso di « mille canne », cioè di due chilometri. Specialmente se la si osserva dal mare, appare salda e imponente.
Di fonte a Gallipoli, circondata dalle acque limpide e cristalline dello ionio, si trova l’Isola di S. Andrea (Risula per i gallipolini). L’Isola appare desolata, bruciata dalla salsedine, dal sole e dai venti, con i segni dell’uomo che in tempi non tanto recenti l’ha utilizzata come avamposto militare.
Proseguendo verso sud, lungo un territorio che si fa brullo, con i cespugli che prendono il posto della pineta, sulla punta meridionale della baia di Gallipoli si allunga il « Pizzo », un promontorio non dissimile da quello su cui si trova la città; su questo promontorio, detto anche Punta Cutreri, appare la circolare Torre del Pizzo.
Continuando in direzione sud arriviamo a Ugento nota oggi per la coltivazione del tabacco, deve il suo nome all’antica Ausentum, di età preistorica. Antica città messapica, con alcune testimonianze di ruderi megalitici, fu romana con il nome di Uzentum. Delle epoche antiche sono state ritrovate numerose tombe con vasi, monete ed iscrizioni messapiche e latine. Testimonianze della gloria passata di questo centro popoloso del Salento sono: il Castello (XIII sec.), il Palazzo Vescovile ( XVIII sec.), la Cattedrale ( XVIII sec. ) e numerosi palazzetti nobiliari. Distrutta e ricostruita più volte si sta affermando come grosso centro agricolo.
Da Ugento, sempre direzione sud ci spostiamo a Santa Maria di Leuca estremo lembo d’Italia, dove le acque dello Ionio e quelle dell’Adriatico si congiungono (visibile la linea che divide i due mari in una giornata priva di foschia). Affascinante per le sue splendide ville moresche che fanno da cornice alla bianca scogliera e le grotte che si susseguono lungo la costa come: la grotta del Diavolo facilmente accessibile anche da terra attraverso un’apertura alta circa 4 m e larga 2 m e una galleria che, scendendo, si abbassa con un dislivello di diversi metri, passando per un antro a cupola. Le campagne di scavi hanno qui dato alla luce una vasta gamma di utensili e di ceramiche utilizzate dall’uomo del Neolitico per la caccia e la cottura delle prede (cervo, bue, capra, cinghiale);
la grotta del Fiume così chiamata per un avvallamento che la sovrasta, letto scavato da un antico fiume per guadagnare il mare;
la grotta del Presepe carica di effetti cromatici e plastici;
la grotta Tre Porte deve il nome ai ciclopici passaggi calcarei per cui vi si accede e dove l’acqua è di colore blu intenso, la stessa presenta sulla parete nord del vano interno della grotta, a circa 3 metri sul livello del mare, un cunicolo che termina dopo circa 30 m in un’ampia camera sub-circolare con stalattiti e stalagmiti;
la grotta dei Giganti che deve il suo nome alle ossa e ai denti di pachidermi rinvenuti in essa, inglobati nel materiale detritico misto a terra rosso-violacea che riempì la grotta durante una fase di regressione delle acque marine. Nella parte bassa della grotta sono stati trovati numerosi focolari con carboni e ossa combuste di età paleolitica, nella parte alta cocci di ceramica risalenti all’Età del Bronzo. La grotta fu frequentata anche millenni dopo, come testimoniano le varie ossa umane, i cocci bizantini e le monete in bronzo di Costantino VII e di Romano I rinvenuti all’interno;
La grotta della Stalla , una grande sala con stalagmiti in cui si accede comodamente con la bassa marea che offre giochi di luce incantevoli;
poste nell’insenatura tra Punta Méliso e Punta Rìstola, la grotta del Drago così detta per lo scoglio che si erge al suo interno e che ricorda una testa di un drago; essa è profonda circa 40 m, con un’apertura di 30-40 m, e deve la sua bellezza al colore verde-azzurro delle acque e delle pareti;
e a est del promontorio, verso l’Adriatico, si trova la grotta Grande di Ciolo, dove sono state ritrovate delle testimonianze di civiltà antiche.
Da visitare anche le Grotte di Terrarico, le Grotte di Verdusella, la Grotta di Ortocupo, Grotta la Cattedrale e la Grotta della Vora cavità alta più di 25 m con la volta attraversata da un inghiottitoio, che crea fantastici giochi di luce.
Il faro, che segnala lo ‘spartiacque’ fra Ionio e Adriatico, predomina il paesaggio e il Santuario dedicato a S. Maria ( costruito nel 1720 ), adagiato su una bianca scogliera, è conosciuto anche col nome » de finibus terree ». Il Santuario di S. Maria è posto « alla fine del mondo » agli antipodi con l’altro santuario, in Normandia, proteso su una scogliera nell’Atlantico, la punta di Raz. Secondo la credenza popolare bisogna recarvisi in pellegrinaggio almeno una volta in vita per poter accedere al Paradiso.